La nostra ospite di oggi è Domenica Minniti Gònias, professore ordinario di Linguistica italiana e Traduzione presso l’Università Nazionale e Kapodistriaca di Atene.

Originaria di Bova Marina, cittadina della Calabria meridionale nell’area grecofona della Bovesìa, la professoressa Minniti Gònias si è dedicata presto allo studio e la salvaguardia del dialetto grecocalabro. A questo suo interesse principale di ricerca si aggiunsero in seguito altri temi e argomenti riguardanti p. es. i rapporti tra la lingua italiana e i dialetti del neogreco, la traduzione, la questione linguistica in Italia, nonché l’odierna presenza della lingua italiana in Grecia e il prestito linguistico nella lingua orale neoellenica. 
Membro, tra l’altro, della European Society of Translation e del comitato scientifico della rivista Translatorica & Translata (Univ. di Łodz, Polonia), è autrice di numerosi saggi monografici, articoli, e libri su questioni attinenti a entrambi i campi della sua specializzazione, la linguistica e la traduttologia. Studi che spesse volte sono tesi, esplicitamente o no, a evidenziare i legami e i rapporti culturali tra le due penisole, la Grecia e l’Italia, sia a livello personale e letterario (si ricordi per esempio il suo influente articolo “Osservazioni sulla lingua delle poesie italiane di Dionisios Solomòs”), che a quello collettivo e storico, esplorato ripetutamente nelle sue ricerche sul contatto millenario e fertile tra le due lingue e i loro dialetti. Al di là delle sue pubblicazioni scientifiche, Domenica Minniti Gònias è traduttrice di testi italiani in greco, come i “Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica” di Tullio de Mauro ma anche di autori greci come, ad esempio, il poeta Anagnostakis.

Noi l’abbiamo incontrata in occasione del suo ultimo libro Italoellenica A’: Studi sul prestito lessicale, una raccolta di saggi sugli italianismi presenti nella lingua neoellenica e nei suoi dialetti e gerghi, di recente pubblicato dalla casa editrice ateniese Grigoris. In questa intervista* ci parla tra l’altro del suo percorso formativo e della sua passione per le due lingue, l’italiano e il greco, e i loro dialetti, come pure dei prestiti lessicali, quelle parole parlanti degli stretti rapporti tra i due Paesi, che arricchiscono la potenza espressiva delle nostre lingue, e che inconsapevoli della loro evoluzione etimologica usiamo quotidianamente senza accorgerci del loro bagaglio secolare.

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Qual è stato il suo percorso formativo? Come mai si è interessata alla lingua e letteratura neogreca? 

Ho avuto fin da piccola la vocazione per la lingua in genere e le lingue straniere in particolare, ho imparato molto presto il francese e il tedesco; com’era fatale, ho frequentato il liceo classico e poi mi sono iscritta all’Orientale di Napoli, un’università tradizionalmente di grande prestigio per lo studio delle lingue e all’avanguardia per quanto riguarda il greco; l’insegnamento della lingua neogreca infatti vi fu introdotto già alla fine del ‘700. L’Orientale era un osservatorio privilegiato: mi attirava in particolare tutto ciò che aveva a che fare con i dialetti, la cultura popolare, le tradizioni; così viaggiai un po’ dovunque a sud, in Sardegna in particolare, per dedicarmi ben presto allo studio e alla diffusione del grecocalabro.
 
Ci vuol parlare di questo dialetto?
 
È noto che si tratta di un dialetto che un tempo era parlato in alcuni paesi della Calabria Ultra, sia del versante settentrionale che di quello meridionale dell’Aspromonte, per poi venire circoscritto a questa seconda area, la cosiddetta Bovesìa. Comprende Bova o Vùa in grecocal., Condofuri, Roccaforte del Greco o Vunì, Rochùdi e Chorìo di Rochùdi; Gallicianò è il centro montano dove la parlata presenta un migliore stato di conservazione, mentre Bova Marina o Fùndaca, la mia cittadina di origine, è considerata area aggregata, cioè i grecofoni qui sono arrivati dai paesi circostanti. Il dialetto purtroppo è in via di estinzione e fa parte delle endangered languages, ma l’attività di rivitalizzazione è fervente da qualche decennio e sta dando alcuni risultati, sempre molto poco rispetto a quello che si sarebbe potuto fare molto tempo prima. Ma in passato non si era ancora sviluppata la coscienza della salvaguardia di queste lingue che oggi in Italia sono considerate “minoranze linguistiche storiche” e vengono tutelate dalla legge 482 del 1999. Comunque, negli anni ’80, quando avviammo le attività di recupero e studio del grecocalabro, eravamo considerati un po’ dei pionieri… Personalmente, in qualità di presidente del circolo culturale “Jalò tu Vùa” di Bova Marina mi sono attivata, insieme con altri membri, per iniziative importanti come la registrazione dell’ LP I Riza La radice con brani tradizionali in lingua e la fondazione di una cooperativa artigianale To Sparto La ginestra; considero specialmente un risultato personale quello di aver sottoposto alla Confèrence Permanente des Pouvoirs Locaux et Régionaux del Consiglio d’Europa la necessità della creazione di un Istituto di Studi Grecofoni, successivamente istituito a Bova Marina dalla Regione. Tuttavia l’“attivismo” è una categoria nella quale non mi riconosco, il mio interesse è sempre stato di natura scientifica per la lingua in sé: ho studiato le strutture sintattiche e semantiche del calabrogreco sia in relazione al dialetto romanzo giacché si tratta di una situazione di bilinguismo italogreco, sia in relazione al neogreco e specialmente ai suoi dialetti meridionali. E certamente un tema molto affascinante è la cultura calabrogreca, la dimensione storica e sociale di questo linguaggio viste attraverso i suoi parlanti, le testimonianze orali, i loro canti… Tutti argomenti ai quali ho dedicato la tesi di laurea (1983) e numerosi altri lavori, come la Proposta per l’avviamento di un’indagine sociolinguistica nella grecità calabrese (1990), che però non fu mai realizzata per mancanza di fondi…

Parallelamente alla dedizione per il calabrogreco, il mio interesse per la politica linguistica europea è stato sempre costante e ho avuto modo di affinare le mie conoscenze in più occasioni a Bruxelles e Strasburgo, anche partecipando a vari stages come traduttrice e interprete. Conoscenze che mi sono tornate utili in quest’ultimo decennio, in cui gli Italianisti ci siamo attivati prima perché venisse introdotto l’italiano come lingua straniera nella scuola pubblica in Grecia (sono stata firmataria del curricolo d’insegnamento per i Licei nel 2008) e ora perché venga ripristinato, giacché nel 2011 è stato abolito.

Ma per tornare alla sua prima domanda: dall’Europa ad Atene il passo è breve. È stato ben presto chiaro che la ricerca scientifica per me era più importante di ogni altra attività; così, dopo un master in Linguistica a Roma con Tullio De Mauro, ho compiuto il dottorato di ricerca in Studi comparati all’Università di Atene, la quale poi mi ha onorato assumendomi nel 1997 come docente di Linguistica italiana e Traduzione. Ricerca a parte, adoro la lingua e la letteratura neogreca e in tutti questi anni ho cercato di rendermi utile per la loro diffusione in Italia, specialmente con le traduzioni (per es. di poeti come Anagnostakis e Engonòpulos). Tra l’altro, mi fa piacere segnalare qui il funzionamento di un laboratorio di Traduzione nel Dipartimento di Lingua e Letteratura Italiana sotto la mia direzione, nel cui ambito organizziamo degli incontri biennali di studio dal titolo Italoellenica; credo che sia abbastanza eloquente delle tematiche trattate (traduzione, linguistica contrastiva, dialettologia italogreca ecc.).

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Quali i rapporti tra l’italiano e il greco? Quanto ha influenzato la lingua italiana quella greca e viceversa? Quali le ragioni e i fattori (storici o no) di questi influssi? 

Le relazioni tra l’italiano e il greco sono di lunghissima data, come si sa: dal Graecia capta dei Romani ad oggi, le due lingue non hanno mai cessato di influenzarsi reciprocamente: prima gli influssi del greco nel latino, poi dal 1453 la presenza in Italia degli intellettuali greci fuggiti da Costantinopoli alla sua caduta, i quali essenzialmente si resero artefici dell’Umanesimo e del Rinascimento, traducendo gli auctores greci e diffondendo la propria lingua. Il foltissimo contingente di grecismi che ha portato Tullio De Mauro a dire che una parola su tre è di origine greca, è entrato nel lessico dell’italiano proprio in questi secoli; ma numerosi sono anche i neologismi moderni di conio greco, specie i termini scientifici (della medicina ecc.). D’altronde, dire che l’italiano ha influenzato il neogreco è quasi fare una tautologia, considerati gli otto secoli di presenza di Genovesi e Veneziani nel Mediterraneo orientale. Come ho avuto modo di dire all’Accademia della Crusca in occasione del recente convegno dell’Osservatorio dell’Italiano nel Mondo (OIM), nel quale rappresento il greco, il greco, sebbene tipologicamente diverso, è in assoluto la lingua più vicina all’italiano dal punto di vista culturale e geografico. Secondo mie valutazioni basate sul corpus del Dizionario greco dell’uso pubblicato dall’Accademia di Atene nel 2014 e curato da Christòforos Charalambàkis, più del 17% del lessico del greco comune è di origine italiana; ma ovviamente la percentuale aumenterebbe di molto se comprendessimo nel calcolo anche gli italianismi che ricorrono nei dialetti neogreci. Spero di poter prima o poi compilare un dizionario di tutte queste parole, e approfitto di una sede così importante per rivolgere un appello a enti o personalità interessate affinché sostengano questo sforzo di catalogazione.
 
Il suo ultimo libro Italoellenica A’: Studi sul prestito lessicale tratta l’argomento dei prestiti italiani nella lingua greca. Perché studiare i prestiti lessicali? Di cosa parlano queste “parole migranti”? 
 
È un volume nel quale ho raccolto saggi scritti negli ultimi dieci anni durante i quali mi occupo sistematicamente di questi studi. Vi si tratta degli italianismi nelle Commedie cretesi del 16°-17° sec., in atti notarili di Naxos dello stesso periodo, negli scritti del Generale Makrijànnis, dove ricorrono molti termini del lessico militare, nelle diverse varietà linguistiche a Corfù, nei testi dialettali dell’Eptaneso e del Dodecaneso, in gerghi metropolitani come la kaliardà e così via: l’influsso dell’italiano è evidentissimo ovunque, studiarlo è d’obbligo. Queste parole ci restituiscono in maniera tangibile la storia della presenza degli italiani sul territorio, ci parlano delle molteplici attività commerciali (specie la marineria) e tecniche da loro importate, delle influenze esercitate dalla cultura e dalla letteratura… Esempi se ne potrebbero fare a migliaia. “Parole migranti”, in tedesco Wanderwörter: questa definizione poco scientifica è presumibilmente più idonea a descrivere questo fenomeno che non il termine “prestito” comunemente usato in Linguistica; giacché un prestito presuppone un ritorno mentre niente è più stabile di queste parole quando entrano in un’altra lingua, dove si assestano producendone altre, che non sempre hanno una stretta relazione con la lingua di partenza. Tanto per fare un esempio molto noto: πίτσα, pizza, è parola italiana ma πιτσαδόρος, cioè il fattorino che consegna le pizze, è una parola completamente greca. Inoltre, è possibile che le parole nella nuova lingua assumano anche significato diverso (per es. καπάτσος rispetto a capace), spesso con risultati alquanto curiosi: si pensi al divario semantico fra visita e βίζιτα…

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In occasione, appunto, della presentazione del suo libro all’Istituto Italiano di Atene, il professore Charalambàkis, nella sua relazione, ha enfatizzato la ricca presenza di prestiti italiani nel neogreco accennando anche ad alcuni settori lessicali nei quali questi ultimi si concentrano, e dichiarando che “senza l’italiano resteremmo nudi e digiuni”. In quali ambiti lessicali di ciascuna delle due lingue si manifesta una forte presenza di prestiti provenienti dall’altra e perché?  

Gli italianismi sono largamente diffusi in tutti i settori e le attività della vita pubblica. L’apporto dell’italiano è di assoluta importanza in alcuni ambiti, come quello marinaresco e finanziario, ma anche quello della tecnica, delle scienze, in particolare della medicina, dei vari mestieri, dei giochi. La frase scherzosa coniata da Charalambàkis è giustificata dalla straordinaria diffusione degli italianismi nel settore della gastronomia e dell’abbigliamento: dall’insalata (> σαλάτα) alla frutta (> φρούτα) passando per la pasta (oggi sulla tavola greca ne vengono serviti molti tipi, non più solo i maccheroni > μακαρόνια e gli spaghetti > σπαγγέτι come una volta: le λαζάνια < lasagne, i τορτελίνια < tortellini, il παστίτσιο < pasticcio ecc.) e il dolce (τούρτα < torta), buona parte degli ingredienti (per es. σάλτσα < salsa, μαντζουράνα < maggiorana, κοτολέτα < cotoletta, μπρόκολο < broccolo) e degli accessori di cucina (πιάτο < piatto, μπουκάλι < ven. bocal o it. boccale, νταμιτζάνα < damigiana) sono italianismi. Nei dialetti dello Ionio, per esempio, c’è tutta una serie di parole per designare i vari tipi di κατσαρόλα < casseruola… Lo stesso avviene per quanti riguarda i capi di abbiglimento: dal cappello > καπέλο alle calze > κάλτσες passando per i pantaloni > παντελόνια, la maggior parte sono di origine italiana.

Comunque, noi linguisti distinguiamo innanzitutto i prestiti dal punto di vista maggiormente attinente al fenomeno in sé. Ci sono dunque i cosiddetti “prestiti di lusso”, cioè le parole della cultura, e sono per lo più termini dell’arte, della musica, della letteratura, della moda ecc.: καμαρίνι < camerino, κάδρο < quadro, καβαλέτο < cavalletto, ντεμπούτο < debutto, πινέλο < pennello, σενάριο < scenario, ταλέντο < talento, φινάλε < finale, φούγκα < fuga, βιμπράτο < vibrato, λότζα < loggia, πόρτεγο < ven. portego, σονέττο < sonetto, ρίμα < rima, Νεορεαλισμός < Neorealismo. Questi termini, nel neogreco come in altre lingue, furono introdotti dal Rinascimento in poi, quando l’Italia divenne il modello culturale d’Europa. Tuttavia, abbiamo soprattuto “prestiti di necessità”, cioè migliaia di parole che riguardano, oltre la gastronomia e il guardaroba, anche la vita quotidiana, l’abitazione e l’arredamento. Faccio alcuni esempi a caso: αβαρία < avaria, γάντζος < gancio, κομοδίνο < comodino, κουβέρτα < coperta, μπαλκόνι < balcone, μπάνιο < bagno, πέργκολα < pergola, ταπετσαρία < tappezzeria, τιμόνι < timone… E ancora, le parole che rimandano ad attività artistiche e artigianali (ταλιαδόρος < intagliatore, μπαρμπέρης < barbiere), persino al corpo umano e agli stati d’animo (γκρίνια < digrignare). E infine i saluti (τσάο < ciao, αντίο < addio). Ovviamente sterminato è il contingente che riguarda la marineria, perlopiù venezianismi. I prestiti scientifici, infine, sono entrati in circolazione attraverso canali come il commercio e la navigazione e riguardano medicina, geologia, meteorologia e botanica: μαργαρίτα < margherita, βιολέτα < violetta, μπιγκόνια < begonia… I nomi dei fiori sono quasi tutti degli italianismi.

Sul versante degli influssi del greco sull’italiano, ora: il Grande dizionario dell’uso di Tullio De Mauro registra, sui circa 250.000 lemmi complessivi, circa 8000 grecismi, di cui quasi la metà arrivati senza l’intermediazione latina. Ciò significa che ogni trenta parole una è di origine greca: si tratta dunque del contingente esogeno più numeroso. Le parole greche che sono affluite in italiano occupano perlopiù i vari campi del vocabolario intellettuale, delle terminologie delle scienze e della tecnica. Certo, si tratta di parole non sempre immediatamente riconoscibili perché hanno subito adattamenti di forma e di significato; così come per le cause che hanno provocato il trasporto da una lingua all’altra, anche gli adattamenti sono strettamente dipendenti da fattori extralinguistici e culturali. Va subito detto che la penetrazione dell’elemento in Italia è più complessa perché comprende il periodo in cui il trasporto linguistico avveniva grazie al latino, e quindi più antica.

A quali altri periodi appartengono i grecismi dell’italiano?
 
A causa della vastità dell’argomento, propongo il seguente schema: 1) voci greche nel latino d’età classica e postclassica, poi passate nell’italiano; si tratta di nomi di oggetti quotidiani e domestici (ampolla, borsa, canestro), di terminologia ittica (balena, delfino, cefalo), di termini della filosofia e delle scienze dell’antichità (filosofia, retorica, aritmetica, geometria, geografia), del lessico speciale dei cenacoli cristiani (apostolo, battesimo, martirio ecc.); 2) elementi lessicali greci di epoca altomedievale; risalgono al greco bizantino voci comuni come anguria, basilico, indivia, lastrico, voci marinaresche (per tramite veneziano) relative a imbarcazioni (galera, gondola) o ad attrezzi e operazioni marittime (argano, molo, ormeggiare); 3) voci entrate nel volgare italiano nel periodo umanistico-rinascimentale; costituiscono l’incremento più cospicuo di grecismi direttamente attinti da fonti classiche e interessano tutti i campi, dalla storiografia alla politica, dall’architettura alla retorica e alla filosofia. Segnalo, fra tutte, le seguenti voci del lessico intellettuale che terminano in -i: tesi, ipotesi, catarsi, eclissi, diuresi, ipofisi, necrosi, sclerosi, parentesi, prostesi. Infine, in questo periodo nascono gli “europeismi”, termini a diffusione europea e non solo italiana, grazie alla intermediazione del latino umanistico (per es., catastrofe, clinica, dialetto, ecatombe, entusiasmo, eutanasia, omonimo, ottica, parafrasi, peripezia, scenografia); 4) terminologia scientifica del Sei-Settecento formata in base al modello greco e non più a quello latino, ad es. la terminologia clinica: nefrite, spondilite, epatite ecc.; questa tendenza credo arrivi fino alla seconda metà del Novecento, quando ai grecismi si affiancano nuovi termini angloamericani; 5) infine, abbiamo i composti neoclassici odierni, ovvero parole scientifiche che vengono ancora oggi modellate sul greco classico e contenenti prefissi o suffissi estratti greci (auto-, demo-, filo-, idro-, -fobia, -logia, -mania, -patia ecc.); in alcuni casi si tratta di termini caratterizzati perfino da alta frequenza nel lessico dell’italiano: si pensi ad automobile, simpatia, megalomania, demografico, claustrofobia. Insomma, possiamo ben dire che l’influsso greco sull’italiano non ha certo una fine…
 
Se lei dovesse individuare una parola, un prestito linguistico, per simboleggiare e raffigurare i fitti scambi, intrecci e rapporti fra le due lingue e culture, quale sceglierebbe?
 
Senz’altro νταραβέρι < dare e avere, una parola greca appartenente al linguaggio per così dire popolare, che a suo tempo era diffusa nei commerci e oggi rimanda appunto a un fitto intercorrere di relazioni, di faccende fra persone.
 
 
*Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per PUNTO GRECIA

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