Nell’impresa di documentarsi su Altan per un’eventuale intervista, ci si inciampa immancabilmente in denominazioni e descrizioni che cercano di riassumere per sommi capi le principali qualità di un’intera opera e d’una persona, descrizioni peraltro assai poco confortanti per (l’ansia di) chi quest’intervista la deve fare. Chiamato a volte “il re del fumetto italiano”, il “cantore del disincanto”, un “genio sintetico” e un “mostro sacro” del genere, Altan, disegnatore, fumettista e vignettista italiano, è indubbiamente uno dei capisaldi, uno degli autori più insigni del fumetto italiano e internazionale. La penna, il cui estro creativo diede vita a personaggi indimenticabili che ormai fanno parte dell’immaginario italiano, e non solo (basta ricordare l’operaio metalmecchanico Cipputi, il Cavalier Banana ecc.).
 
 
Nel corso della sua pluridecennale carriera, ha creato e continua a farlo, un’opera assai variegata e sfaccettata che annovera in sé fumetti per adulti e romanzi grafici (Colombo, Ada ecc.), vignette satiriche politiche (nate dalla sua collaborazione con periodici come l’Espresso e la Repubblica), libri illustrati per bambini (tra cui l’eterna Pimpa) e numerose illustrazioni di testi di Gianni Rodari, Roberto Piumini e.a.
 
Le sue vignette, definite “filosofiche” dal suo collega Staino, si distinguono per la loro ironia mordace e dissacrante ma nel contempo raffinata, per le loro battute fulminanti, i loro tratti netti e incisivi, il disegno morbidamente curvilineo e il contrasto cromatico vivace, che ne costituiscono l’impronta stilistica di Altan. E sono proprio queste sue vignette che ci hanno fornito l’occasione per incontrarlo e intervistarlo a margine della mostra “Democrisis: La Democrazia in crisi”, organizzata dal “Club dei Vignettisti greci” presso la Stazione Metro di Syntagma*.
 
A 78 anni portati benissimo, Altan, mite, modesto, cordiale e acutamente lapidario, ci ha parlato tra l’altro del suo lavoro, della democrazia, della vignetta politica e della sua concezione del ruolo di essa. E lo ringraziamo per averci concesso questa intervista.
 
Partiamo con una domanda inesorabile: Quando e come iniziò il suo rapporto con il mondo del fumetto e della vignetta satirica? Quando ha deciso di occuparsene professionalmente?
Allora, io disegnavo da piccolissimo. Ho sempre disegnato per conto mio, in più quando ero piccolo io, non c’erano molte alternative, non c’era la televisione, non c’erano queste cose… Poi, piano piano ho cominciato a fare delle cose anche per i miei compagni di scuola, delle storielle… E così senza accorgermene, con il tempo, verso i 20 anni è diventato quasi un lavoro, e dopo i 25 è diventato un lavoro.
 
Ci sono vignettisti greci che segue ed apprezza?
È molto difficile per noi, perché non abbiamo…
 
C’è il problema della lingua?
Sì, c’è la lingua. E poi non vediamo queste cose insomma, per cui questi che io trovo qui, li conosco da tre giorni. Ci sono molti disegnatori bravi qui.
 
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Il titolo della mostra, in occasione della quale ci incontriamo oggi, è “Democrisis”. Perché si parla di una crisi della democrazia, secondo lei? E a questo riguardo, quanto è cambiato rispetto agli anni di Cipputi?
No, la crisi della democrazia c’è, perché nel giro del mondo dagli Stati Uniti alla Turchia, all’Italia, al Centro Europa c’è un movimento che sta andando indietro veramente, in maniera preoccupante. Perché abbiamo raggiunto una serie di conquiste su certi valori… e stanno cercando di smontare tutto insomma. Quindi, questo è molto preoccupante. E sembra che la gente non reagisca a questa cosa.
 
Restando in campo politico, che ne pensa delle prossime europee? Cosa c’è da aspettare?
Io lo dico sempre, che io di politica non capisco niente, però…
 
Non è vero questo…
Forse no, ma intellettualmente non capisco, la capisco forse con la pancia. L’unica speranza che c’è, è che tenga il fronte antipopulista, antisovranista, perché quello sarebbe un altro disastro, insomma, se l’Europa andasse indietro… Io sono convinto che l’Europa è una grande conquista per gli europei. E tornare indietro anche da lì, sarebbe veramente tornare indietro di molti, molti anni.      
 
Quale funzione può avere la vignetta politica in una tale circostanza?
Se devo essere molto sincero, non sono convinto che le vignette servano molto a smontare questi movimenti, a contrastare questi movimenti. Servano, però, secondo me, a dare un senso di partecipazione a chi la pensa più o meno in un certo modo. E li riunisce. Ti fa sentire meno solo davanti ai problemi che sono davanti.
 
La satira è un antidoto alla passività acritica o può portare al cinismo?
No, io credo che sia un antidoto importantissimo. Non è per niente che la satira esiste da tremila anni e continua, in forme che cambiano, però continua a esistere. Perché è un punto di resistenza finale insomma.
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Luciano Canfora in un articolo suo sulla rivista  “Hystrio” nel 2015 scriveva: “Il venir meno della distinzione tra politici e satirici alla fine ha nuociuto più alla satira che alla politica”. Che ne pensa?
No, questa distinzione… il “venir meno” non credo che sia giusto. La distinzione c’è. Il problema è che i politici di adesso fanno da soli. Si fanno quello che fanno e si fanno anche la satira, perché sono incompetenti e arroganti e fanno delle cose incredibili dal punto di vista del cittadino.
 
A proposito dei politici, lei si occupa della vignetta politica ma i politici nelle sue vignette spesso non ci sono.
Sì, perché mi ha sempre interessato… I politici stanno in quei posti lì perché qualcuno li ha votati. Quindi mi interessa di più occuparmi di chi fa quel gesto di votare questa gente piuttosto che occuparmi dei singoli politici. Anche se ogni tanto, come in Italia quando c’era Berlusconi o Craxi, uno non poteva fare a meno di occuparsene, perché erano così invadenti.
 
Alla luce dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo c’è stata una discussione intensa, a volte anche polemica, riguardo alla vignetta satirica. A suo parere, esistono limiti che la vignetta satirica dovrebbe porsi?
Secondo me, il limite è che non deve essere gratuita, cioè non deve essere una cosa che si fa per attaccare qualcuno senza pensare a cosa si sta facendo, alle conseguenze ecc. Ovviamente, quello che è successo a Charlie è una cosa che non è ammissibile. Io, personalmente, sono convinto che c’è un limite nel senso del rispetto di un’idea che non è la nostra. Però non si può attaccare a causa di certi gesti come quelli… Se no, andiamo alla guerra santa che non è una buona cosa mai.
 

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Quando si parla della vignetta politica o dei vignettisti è solito usare parole come penna pungente velenosa, scrittura sovversiva e battute ribelli, fulminanti e così via. Di rado però si parla degli stereotipi, dei luoghi comuni, delle banalità. C’è un posto anche per loro nella vignetta? Quale sarebbe la loro funzione?
Mah, per la banalità c’è posto se la dice uno e l’altro risponde con qualcosa che non è banale, perché, se no, è tutto banale, e non ci interessa (ride).
 
Nel contrasto allora?
Sì, c’entra la qualità del discorso. Perché la banalità fa parte della nostra vita, ma non bisogna lasciarla passare inosservata.
 
La crisi ha destato un grande interesse verso la Grecia e la vita politica greca. Immagino che questo valga anche per le vignette dei giornali italiani.  
Sì, c’è stato, ma adesso, in questo momento no. Però nel momento della crisi ce ne siamo occupati anche perché l’Italia e la Grecia c’hanno qualcosa di comune, che non so definire, per cui quello che succede qui o che succede là, potrebbe anche succedere là o qui. E stiamo attenti a queste cose.
 
Si ricorda come e in quali termini è stata rappresentata la Grecia nelle vignette delle testate italiane? C’era un cambiamento rispetto al passato?
La Grecia è stata presente nel giornalismo italiano all’epoca dei colonnelli… E dopo, era normale insomma, non se ne parlava più tanto. Nell’ultima crisi, dal 2010 in poi, in generale è stata rappresentata come la vittima di un complotto generale. O come, non tanto la vittima, ma come il capro espiatorio di una situazione… In Italia credo che la gran parte delle persone siano convinte che è stata usata una mano troppo dura con la Grecia e che non era la soluzione dei problemi.
 
*Ringraziamo il Club dei vignettisti greci. La realizzazione di questa intervista è stata possibile grazie al loro aiuto e collaborazione.
 Tutte le vignette presenti nel testo sono di Altan.
 
Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per PUNTO GRECIA
 
 
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