E’ da molti anni che Massimo Bongiorno, giornalista della Rai e noto documentarista, visita la Grecia, visti i suoi legami – anche personali – con Atene e in generale con il nostro paese. Da tali legami nasce l’idea del suo documentario “Athens Blues“, filmato ad Atene nel suo ultimo viaggio lo scorso maggio, di cui ci parla in questa intervista*: un’idea che consiste nel raccontare in maniera diversa da quella del mainstream mediatico la crisi greca che rispecchia, a suo avviso, la crisi ben più ampia del modello culturale dell’Occidente.
 
 
Lo scorso maggio Lei è stato ad Atene per le riprese del documentario “Athens Blues”. Com’è nata l’idea di questo documentario? Qual era il Suo oggettivo e come ci potrebbe spiegare la scelta del suo titolo? 
 
In realtà sono stato ad Atene per le riprese in due occasioni: la fine di marzo e l’inizio di maggio. In tutto circa 15 giorni di riprese, molto fitti. Devo però precisare che ci vado molto spesso, e da tanti anni, perché ho molti legami – anche personali – con la città e in generale con la Grecia. L’idea del film nasce in parte proprio da questi legami, che incidono anche sulla sfera familiare. Poi dal desiderio di cercare un racconto della ‘crisi’ che esulasse dalle narrazioni del mainstream di questi anni, con gli schemi preconfezionati a cui ci hanno abituati 10 anni di telegiornali. Volevo sperimentare una via nuova in cui il reportage fosse una cornice, un escamotage, messo lì apposta per contaminarsi in una trama intessuta di fili che volevo carichi di poesia. Spero di esserci almeno in parte riuscito. Il titolo fa riferimento alle note ‘blu’: quelle del blues e del jazz, ma anche e soprattutto quelle del rebetiko e delle scale musicali orientali. Le note che ‘scartano’ dal sistema temperato occidentale e tentano di scardinare sguardi ripetitivi sulla realtà, che risvegliano emozioni altrimenti impossibili da provare.
 
La Grecia è ufficialmente uscita dai programmi di assistenza finanziaria internazionale lo scorso 20 agosto. Come potrebbe descrivere l’immagine del paese dispiegatasi davanti ai Suoi occhi durante la Sua recente visita? Come ha reagito la Grecia alla crisi socio-economica, una crisi che, come sostiene anche Lei, ha trasformato il paese in “un gigantesco laboratorio sociale, politico ed economico”? 
 
Come spiegavo prima, ho visto il paese alle prese con tutte le fasi della crisi e anche prima della crisi. Nel mio ultimo viaggio ho percepito nettamente la voglia di voltare pagina con dignità, forse una maggiore consapevolezza delle proprie possibilità di uscirne ma anche delle cause profonde della crisi. Che sono in buona parte endemiche: la Grecia ha enormi risorse proprie, ma anche antichi problemi economici e sociali, con cui sta facendo i conti come credo mai prima. E’ un laboratorio, vitalissimo, di sperimentazione socio-politica. Qualcuno ha probabilmente voluto mettere alla prova la ‘tenuta’ di un patto sociale, di uno ‘stato nazionale’, in condizioni estreme… bene ha tenuto. E sta sperimentando soluzioni nuove. Impreviste.
 
Pensa anche Lei che la crisi greca rispecchi una crisi ancora più ampia, quella del modello culturale dell’Occidente sviluppato? In che consiste la crisi culturale del modello occidentale? 
 
Certo. E lo dico in modo molto esplicito nel film, affiudando le mie parole a quelle dello scrittore, Tsamiotis. E a quelle del drammaturgo, Apostolakis. C’è una idea di ‘Occidente’ e di progresso che è entrata definitivamente in crisi. La scomparsa dello ‘spauracchio’ comunista, dal 1989 in poi, con l’ingresso poi della Cina nel WTO, ha privato il capitalismo di ogni freno politico e morale, provocando una accelerazione che ha dissolto l’idea per esempio di welfare come era venuta fuori dal secondo dopoguerra in poi. La crisi è però soprattutto culturale. La gente ha paura, non sa più progettare serenamente il futuro. E’ una situazione potenzialmente pericolosa, dagli USA all’Europa – tutta – fino a tanti paese emergenti. La Grecia a me sembra adesso un laboratorio carico di stimoli per tutti.
 
Il prossimo maggio i cittadini negli Stati membri dell’Ue saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo. A Suo avviso, la crisi del modello culturale in Europa possa gravare, e in quale misura, sulle scelte dei cittadini europei?  
 
La risposta è implicita a quanto cercavo di spiegare prima. L’idea di un patto sociale ed economico basato su profonde radici culturali che sappia proiettare nel futuro prossimo l’idea di una Europa unita, capace di superare antichi confini, rischia seriamente di saltare per aria. Ci sono spinte sovraniste, nazionaliste, dappertutto: sono esattamente il sintomo più evidente di quella paura diffusa, incapacità di sognare e progettare, che sembra il comun denominatore di questa crisi. Ma non sono pessimista: il prezzo è altissimo, lo stiamo già pagando. Ma credo si possa uscirne.
 
 
 

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